Come si manifesta la violenza psicologica?
La violenza psicologica e la manipolazione sono comportamenti gravi e spesso integrano reato.
Abusi emotivi, mentali, verbali, coercizione, manipolazione, sopraffazione sono le varie forme in cui si manifesta la violenza psicologica.
Ma non solo: ingiurie, minacce, privazioni, umiliazioni, atti di disprezzo e di offesa alla dignità.
Una violenza che non lascia segni visibili esteriormente, ma lividi nell’anima, perché si crea una situazione di ansia, depressione, stress, sofferenza emotiva.
Secondo alcuni è una forma di violenza ritenuta meno grave rispetto a quella fisica.
In realtà tale violenza – assai diffusa – è molto grave perché è rivolta ad annullare la personalità e l’autostima della vittima.
Spesso quest’ultima è completamente soggiogata, a causa della violenza o manipolazione, e non ha nemmeno il coraggio di chiedere aiuto ad un legale per valutare la possibilità di presentare una denuncia, sebbene sussistano gli estremi di alcune fattispecie previste dal codice penale.
Il plagio
In passato la sottomissione al volere di una persona in modo da ridurla in totale stato di soggezione, configurava uno specifico reato, il plagio, previsto dall’articolo 603 c.p., poi dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 96/81.
Da quel momento si è creato un vuoto legislativo, non presente in altri paesi europei – Francia, Spagna Belgio – dove è previsto il reato di manipolazione mentale, che punisce chi causa uno stato di soggezione attraverso l’esercizio di gravi e ripetute pressioni o tecniche volte ad alterare la capacità di giudizio.
I Giudici hanno cercato di colmare tale lacuna, applicando norme esistenti, in situazioni in cui la vittima subisce violenza psicologica.
Vediamo quali reati possono ingenerare la violenza psicologica e la manipolazione.
I reati: maltrattamenti in famiglia
Quando la violenza psicologica è ripetuta e continua nel tempo, potrebbe sussistere il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall’art. 572 c.p. Si configura quando un soggetto maltratta una persona della famiglia o comunque convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte: sono, dunque, possibili parti offese il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati, gli adottanti, il convivente more uxorio, altri parenti e anche i domestici, purché conviventi.
Gli atti maltrattanti possono essere sia violenze fisiche, che psicologiche: espressioni denigratorie a uno dei due coniugi con prevaricazione e sofferenze continue. Gli Ermellini anche recentemente hanno ricordato che per il delitto di maltrattamenti in famiglia non sono necessarie solo percosse, o lesioni, ma anche atti di disprezzo e di offesa alla dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Cass. n.12806/23).
Violenza privata e minaccia
Quando una persona, con violenza o minaccia, obbliga un’altra a fare o tollerare od omettere qualcosa, violando la libertà personale e psichica, commette violenza privata, prevista dall’art. 610 c.p. .
Tale norma protegge da qualsiasi comportamento violento e intimidatorio in grado di esercitare una coartazione, sia diretta che indiretta, per costringere a fare, a non fare o a tollerare una determinata azione. Ad esempio “Ritira le denunce altrimenti ti farò pentire di essere nata”.
Quando si minaccia un fatto ingiusto (“Ti ammazzo!”), sussiste il reato di minaccia ai sensi dell’art. 612 c.p..
Ciò che distingue la violenza privata dal reato di minaccia non è la materialità del fatto, ma gli effetti prodotti e l’elemento intenzionale: nella minaccia è richiesta un’intimidazione generica, che prescinde dalle finalità dell’agente; nella violenza privata l’azione minatoria è finalizzata al compimento dell’evento di danno, ossia il comportamento coartato del soggetto passivo.
Atti persecutori (stalking)
La violenza psicologica e la manipolazione possono anche integrare il reato di atti persecutori previsto dall’art. 612 bis c.p. che punisce colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Si tratta di un reato abituale, per la cui configurazione è necessaria la ripetizione delle condotte di minaccia o violenza.
Ciò che contraddistingue lo stalking è l’insorgere di un’alterazione nell’equilibrio della vittima, poiché le condotte sono tali da incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla sua condizione psichica.
Come si può provare la violenza psicologica?
Occorre fornire la prova della violenza psicologica e ciò non è sempre semplice, anche perché le dichiarazioni della vittima non sono spesso considerate sufficienti.
Quando chi esercita violenza psicologica, lo fa innanzi a terzi, questi divengono testimoni, che possono essere citati nel processo penale, unitamente ad un consulente tecnico (psicologo e/o psichiatra) che potrebbe riferire con riguardo allo stato di prevaricazione.
Infine, potrebbe essere utile registrare o fare video per dimostrare la sussistenza delle violenze subite, acquisibili come documenti ex art. 234 c.p.p.
Conclusioni
La violenza psicologica e la manipolazione costituiscono comportamenti gravi che possono integrare diversi gravi reati, per i quali è possibile presentare una denuncia o una querela.
Avv. Stefania Crespi
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