Il legislatore ha previsto, sia nel giudizio di separazione personale dei coniugi (art. 709 bis c.p.c.), sia nel giudizio per lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, co. 12, legge 898/70), che il Tribunale emetta sentenza non definitiva relativa, rispettivamente, alla separazione o al divorzio.
Le due norme sono state strutturate in maniera analoga utilizzando gli stessi termini.
Con un recente arresto del marzo 2018, la Suprema Corte ha stabilito la possibilità che il Tribunale pronunci sentenza non definitiva sullo status dei coniugi in sede di separazione quando la causa sia sul punto matura per la decisione, al fine di evitare condotte processuali dilatorie tali da incidere negativamente sul diritto di una delle parti ad ottenere una pronuncia sollecita in ordine al proprio “status, ribadendo che la situazione di intollerabilità della convivenza può dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale anche di uno solo dei coniugi (Cass. Civile 6145 del 14/03/2018).
A tale scopo, il giudice disporrà la prosecuzione del giudizio per le altre statuizioni.
Detta pronuncia non definitiva rappresenta uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che non determina un’arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole, sia perché è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, sia per l’effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell’assegno di divorzio.
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