Quando e in base a quali presupposti è possibile fare domanda per ottenere il TFR ossia il trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge
- Il TFR nella legge di divorzio
- Cos’è il Trattamento di Fine Rapporto
- Senza assegno di divorzio niente TFR
- E se l’assegno di divorzio viene revocato?
- Passaggio a nuove nozze e TFR
- TFR e nuova convivenza more uxorio
- Precisazioni sulla maturazione dell’indennità
- Calcolo della quota del 40%
- La quota al TFR è rinunciabile?
Il Tfr nella legge di divorzio
Quando una coppia si sposa e poi divorzia, uno dei coniugi può avere diritto a una quota del TFR dell’altro. Il diritto al TFR è infatti uno dei possibili effetti patrimoniali dello scioglimento del matrimonio. La disciplina di questo diritto è contenuta infatti nell’art. 12 bis della legge sul divorzio n. 898/1970. La norma così dispone: “1. Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. 2. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.”
Analizziamo l’articolo in ogni aspetto per comprenderne il significato e le finalità della stessa con l’aiuto della giurisprudenza. Da qui procediamo passo per passo per rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio, ossia: “Quando si può chiedere il TFR dell’ex coniuge?”
Cos’è il Trattamento di Fine Rapporto
Prima però vediamo che cos’è il TFR. Il trattamento di fine rapporto è la somma che spetta al lavoratore dipendente nel momento in cui il suo rapporto di lavoro viene meno. Il rapporto infatti può cessare in presenza di dimissioni, licenziamento e raggiungimento dell’età prevista dalla legge per andare in pensione. Se non disposto diversamente dai contratti collettivi la retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR è formata dagli elementi tipici della stessa. Il calcolo, piuttosto complesso, fornisce l’importo del TFR al lordo. Il lavoratore può chiedere un anticipo del trattamento, ma dal 1° luglio 2018 non è più possibile ottenere il TFR in busta paga.
Senza assegno di divorzio niente TFR
Dalla lettura del primo comma dell’art. 12 bis della legge sul divorzio emerge prima di tutto che il presupposto fondamentale per il riconoscimento del TFR è l’assegno divorzile.
Principio che di recente è stato ribadito dalla Cassazione Civile n. 12056/2020, la quale ha chiarito che, nel momento in cui all’ex coniuge non viene riconosciuto il diritto all’assegno divorzile, costui non può rivendicare la quota di TFR erogato in favore dell’altro. Il caso di cui si sono dovuti occupare gli Ermellini nel caso specifico riguarda il ricorso di una donna che, dopo il divorzio, ha chiesto di vedersi riconoscere l’assegno di divorzio e la quota di TFR. Domanda che però è stata respinta in entrambi i giudizi di merito.
La Corte d’Appello in particolare ha negato il riconoscimento dell’assegno di divorzio e nulla ha disposto sulla quota di TFR. Sulle ragioni di tale decisione la Cassazione ha chiarito che “la ricorrente, non essendo titolare di assegno divorzile, non aveva diritto alla quota del TFR”, per cui se anche la sentenza impugnata fosse stata viziata da omessa pronuncia sul punto, sarebbe stato comunque inutile, nel rispetto del principio di economia processuale, annullarla e portare la causa nella fase di merito, visto che comunque è già stato stabilito che la stessa non aveva diritto al mantenimento.
E se l’assegno di divorzio viene revocato?
Chiaro quindi che nel momento in cui chiede il TFR dell’ex, il coniuge richiedente deve essere titolare dell’assegno di divorzio. Che cosa succede però se l’assegno di divorzio viene revocato?
A questa domanda ha fornito di recente una risposta sempre la Cassazione con l’ordinanza n. 4499/2021, di cui si riporta la massima: “Il diritto alla quota del TFR spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile che del primo costituisce presupposto, se quel trattamento sia stato corrisposto all’ex coniuge dopo la proposizione della domanda di divorzio e non può essere posto nel nulla dalla sopravvenuta revoca dell’assegno divorzile, destinata ad operare ex nunc, a far data dalla proposizione della relativa domanda.”
Passaggio a nuove nozze e TFR
Un altro requisito che l’art. 12 bis della legge sul divorzio richiede ai fini del riconoscimento del TFR è che il coniuge richiedente non sia passato a nuove nozze. Tale requisito, è doveroso precisare, deve essere presente sia nel momento dell’erogazione dell’indennità, sia quando il coniuge propone domanda per la quota spettante.
Tfr e nuova convivenza more uxorio
Collegandosi alla questione appena trattata, occorre considerarne un’altra ai fini del TFR. Abbiamo visto infatti che l’art. 12 bis della legge sul divorzio prevede che il TFR non possa essere riconosciuto al coniuge richiedente passato a nuove nozze e se non è titolare dell’assegno di divorzio. La legge non menziona l’ipotesi di una nuova convivenza come causa di esclusione dell’indennità. Vero però che non sempre l’ex coniuge decide di risposarsi subito, anzi, oggi è sempre più frequente l’ipotesi di una semplice convivenza. Ecco, in questi casi, può accadere che il TFR non spetti all’ex coniuge perché il giudice può negare/revocare l’assegno di divorzio proprio in ragione del fatto che è andato a convivere. Mancando quindi l’assegno di divorzio, che costituisce il presupposto per il riconoscimento del TFR, il diritto a una quota dello stesso viene meno.
Precisazioni sulla maturazione dell’indennità
Dalla formulazione della norma emerge poi un altro aspetto, ossia che il diritto alla percentuale del TFR spetta quando viene a cessare il rapporto di lavoro del coniuge che ne ha diritto, anche se l’indennità matura dopo la sentenza di divorzio.
Che cosa si intende esattamente con questa espressione?
A chiarirlo per fortuna ci ha pensato sempre la Cassazione con la sentenza n. 7239/2018, attraverso il richiamo alla precedente decisione n. 14129/2014, che ha avuto il pregio di precisare che: “l’espressione, contenuta nell’art. 12-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo viene a maturare dopo la sentenza” implica “che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell’assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato.”
Questo perché la quota del TFR è correlata al diritto all’assegno di divorzio, che in astratto sorge quando viene presentata domanda di divorzio, anche se costituito ed esigibile con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquida. Per cui se il TFR viene percepito dopo la domanda di divorzio, l’attribuzione del diritto a una quota dello stesso risulta collegata al riconoscimento giudiziario dell’assegno di divorzio.
Calcolo della quota del 40%
L’art. 12 bis della legge sul divorzio si chiude stabilendo che la quota di TFR spettante al coniuge richiedente corrisponde al 40% dell’indennità totale, in relazione agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Calcolo ben descritto dalla sentenza della Cassazione n. 15299/2007, la quale chiarisce che: “l’indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40% dell’indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale: risultato che si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero di anni in cui è durato il rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto di matrimonio e calcolando il 40% su tale importo”.
La quota al TFR è rinunciabile?
Analizzati tutti gli aspetti del diritto alla quota del TFR in sede di divorzio, occorre specificare che il diritto del coniuge a una quota dello stesso è un diritto di credito rientrante nell’ambito dei diritti disponibili che, come tali, possono costituire oggetto di rinuncia, contrattazione e transazione.
A questo argomento deve aggiungersi lo spazio sempre più ampio che dottrina e giurisprudenza riconoscono agli accordi coniugali, anche in sede di divorzio, per disciplinare, scongiurare e risolvere eventuali conflitti futuri. Tra i diritti negoziabili rientrano quelli di natura patrimoniale, al cui interno è ricompresa la quota del TFR, che pertanto è rinunciabile a fronte del pagamento di una somma determinata e concordata dai coniugi.
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