Separazione giudiziale o consensuale?
Il nostro ordinamento prevede due forme principali di separazione: quella consensuale e quella giudiziale, che consiste in una causa vera e propria e che è tipica delle crisi matrimoniali molto conflittuali.
Tra le due è preferibile consigliare, in presenza di margini di accordo, la separazione consensuale. In base ai dati Istat infatti i tempi medi di una consensuale vanno da un minimo di due/tre mesi fino a un massimo di 200 giorni, ossia meno di 7 mesi.
Questo perché la separazione consensuale consiste in un accordo tra marito e moglie, il cui contenuto, se non risulta contrario all’interesse dei figli, viene recepito dal giudice in un provvedimento che prende il nome di decreto di omologa.
La separazione con negoziazione assistita
Da qualche anno in realtà esiste anche un altro strumento prezioso, che fa risparmiare ancora più tempo ai coniugi che vogliono sospendere il loro percorso matrimoniale senza drammi e litigi. Si tratta della separazione per negoziazione assistita, che è stata introdotta dalla Legge n. 132/2014 e che permette ai coniugi di ottenere lo status di separati nel tempo minimo di un mese e massimo di tre mesi, termine quest’ultimo che le parti possono prorogare di comune accordo di un altro mese.
Trattandosi di una forma di separazione consensuale il suo obiettivo è di evitare a monte il conflitto. La coppia decide infatti di comune accordo quale sarà, da quel momento in poi, la disciplina del loro rapporto da separati. In sede di negoziazione marito e moglie si devono quindi accordare se e chi deve passare il mantenimento per la prole, con quale genitore andranno ad abitare i figli, in che giorni quello che non abita con loro li può vedere o portare a casa propria.
Una disciplina del rapporto che, attenzione, è giuridicamente cogente. Per cui se uno dei due non rispetta quanto convenuto l’altro può agire in giudizio per pretendere che l’accordo venga rispettato.
Procedura di negoziazione assistita
Per quanto riguarda le modalità di svolgimento della negoziazione assistita l’art. 6 della legge 132 del 2014 stabilisce che i coniugi devono rivolgersi obbligatoriamente almeno a un avvocato ciascuno. Il legale che per prima riceve l’incarico da uno dei coniugi invia una lettera all’altro coniuge, invitandolo a stipulare una convenzione, che disciplina in quale modo avverrà la negoziazione e che stabilisce il luogo e la data degli incontri, il numero degli appuntamenti previsti e così via.
Adempiuta questa formalità le parti si devono incontrare nei giorni e nel luogo convenuto con l’impegno di cooperare in buona fede e lealtà per risolvere in via amichevole la situazione. Può accadere che il coniuge che ha ricevuto l’invito a negoziare rifiuti l’invito. In questo caso chi ha preso l’iniziativa non può fare altro che avviare una procedura di separazione giudiziale.
Supponendo invece che il coniuge che ha ricevuto l’invito accetti di risolvere il conflitto in sede di negoziazione, si possono aprire due scenari:
- se i coniugi non riescono ad accordarsi, gli avvocati non possono fare altro che prenderne atto, attestando che la negoziazione assistita si è svolta, ma ha avuto un esito negativo;
- se invece i coniugi collaborano e riescono a trovare soluzioni che vanno bene a entrambi firmano l’accordo e le firme vengono certificate dagli avvocati sotto la loro responsabilità. In seguito l’accordo viene depositato presso la Procura della Repubblica per ottenere il nulla osta (se non ci sono figli minori) o l’autorizzazione (in presenza di figli minorenni o maggiorenni disabili o economicamente non autosufficienti).
Il Procuratore può negare l’autorizzazione all’accordo se il contenuto risulta contrario all’interesse dei figli. In questo caso entro 5 giorni lo trasmette al Presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo.
Se invece i coniugi ottengono il nulla osta o l’autorizzazione gli avvocati devono chiederne, entro 10 giorni, la trascrizione unitamente all’accordo all’anagrafe comunale dove è conservato l’atto di matrimonio.
Questa trascrizione ha gli stessi effetti della sentenza di separazione e del decreto di omologa della separazione consensuale emessa dal Tribunale, per cui costituisce titolo esecutivo.
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